di Cristina La Marca
La storia della televisione degli ultimi decenni racconta
anche di come la ricerca dell’interattività, seppur in molti casi a livello
embrionale, sia una componente dello sperimentalismo televisivo ben prima
dell’avvento della digitalizzazione. La televisione interattiva ha infatti fatto
capolino già dagli anni Cinquanta con embrionali manifestazioni di situazioni
antesignane rispetto al paradigma attualissimo della fruizione non-lineare e
interattiva e dell’elemento del coinvolgimento da parte degli utenti.
Si parla di programmazione interattiva qaundo nel contesto
della fruizione di un programma o di una pubblicità si colloca una situazione
di scambio fra broadcaster e telespettatore. Il primissimo esempio di
programmazione interattiva che la storia televisiva ricordi è un programma per
l’infanzia dell’emittente statunitense CBS dal titolo Winky Dink and You
(1953).
Per “interagire” con Winky e il suo cucciolo Woofer era
necessario munirsi dell’apposito kit composto da un foglio di plastica
trasparente da appoggiare allo schermo e dei pennarelli colorati: le storie del
cartoon prevedevano snodi narrativi in cui per la risoluzione delle difficoltà
del personaggio era richiesto ai bambini di completare la scena disegnando gli
oggetti funzionali mancanti (un ponte, una fune, una scala, un ombrello ecc.).
Il desiderio di
interazione con la programmazione della TV analogica, nella lunghissima epoca
del duopolio (condizione spiccatamente italiana), si sarebbe poi avvalso di
tutti gli espedienti possibili di coinvolgimento dei telespettatori: i metodi
di call-to-action, dalla telefonata al play-along29, alla e-mail e ad
Internet30, hanno risposto all’evolversi della necessità della produzione
televisiva di consentire la sincronicità con la diretta televisiva, in una
programmazione tutta incentrata sulla ricerca di contatto ininterrotto con il
pubblico, che non passa più attraverso i singoli programmi, ma dalla fedeltà alla
rete e ai suoi conduttori